Gli innamorati sotto il letto

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Si può vivere sotto un letto? La domanda, quantunque necessaria, è impropria o posta molto male. Il fatto è che opporsi alla necessità è pressoché impossibile. Per necessità dobbiamo intendere qualcosa che sta molto al di sopra di noi e tanto superiore alle nostre forze e alla nostra capacità di reazione da impedirci la scelta. Dunque, se veniamo a conoscenza della vicenda di due innamorati che hanno deciso – non si sa come né perché – di vivere sotto un letto, è naturale chiedersi se sia possibile, quand’anche il fatto sia bell’e manifesto.

Di loro si sa poco, fuorché, all’epoca, fossero poco più che quarantenni o, forse, poco meno che cinquantenni, felicemente disoccupati o, più correttamente, occupati da tempo indeterminato in teatro e, strano a dirsi, alquanto appagati da quel poco che la vita offriva loro. Chiunque altro, al loro posto, sarebbe stato schiacciato dalla frustrazione e ne avrebbe sofferto; non possedevano alcunché: non una casa, una macchina, un conto in banca. Nulla possedevano, ma di nulla disperavano. Sì, qualche debituccio c’era, bisogna dirlo; risaliva al tempo in cui erano convinti di poter dare un nome al proprio futuro. Da un certo momento in poi, momento che tuttora non si può collocare nel tempo, avevano abbandonato ogni legame con qualcosa di stabile, s’erano messi a racimolare qua e là gli spiccioli per la sopravvivenza e avevano trascurato tutto il resto. Ancora una volta, stupidamente, potremmo chiederci: com’è possibile? Stupidamente, sì, giacché, se qualcuno lo ha fatto, ciò implica che sia possibile farlo.

Trovandosi spesso in alloggi di fortuna, ospitati ora dall’uno ora dall’altro degli amici o dei parenti che incontravano per caso, erano talmente disabituati all’agio di un materasso che preferivano addormentarsi sul pavimento: un gesto tanto naturale per loro quanto sconveniente per le persone comuni. In genere, seguivano un preciso rituale, per quanto anche questo fosse istintivo e mai premeditato. Si adagiavano entrambi su un fianco, l’uno sul destro e l’altra sul sinistro o viceversa, ma sempre in modo tale da potersi guardare negli occhi, si contemplavano per diversi lunghi e intensi minuti, si scambiavano teneri baci e, da ultimo, prendendosi per mano, si lasciavano prendere dal sonno. In questo loro fanciullesco congiungimento, di fatto, si esprimeva un’incrollabile e invidiabile stabilità, sebbene fosse opportuno stare molto attenti a non parlare di stabilità o permanenza davanti a loro. Erano piuttosto ostili verso coloro che volevano assegnare ruoli ed etichette al loro sentimento. Insomma, nell’assenza delle forme e dell’agiatezza trovavano compimento e godimento, ma guai a parlarne!

Purtroppo, le male lingue, com’è noto, s’insinuano sempre dappertutto, cosicché perfino chi, di tanto in tanto, dava loro ricovero non poteva fare a meno di interrogarli fino all’estenuazione, nella speranza di ottenere una qualche definizione. Quindi, forse, non si può dire neppure che si tratti di male lingue. L’uomo, in generale, non sopporta il vuoto di pensieri, parole e azioni, percependolo come una grave colpa e sentendo il dovere di riempirlo a tutti i costi: non solo il proprio, ma anche e soprattutto quello delle persone vicine. Anzi, il vuoto altrui, nella sostanza apparente e ingiudicabile in quanto altro da noi, è sentito come più minaccioso perché si teme che possa sovrapporsi al nostro e accrescerlo in modo inarrestabile. La paura genera, di solito, due comportamenti: o il tentativo di eliminare radicalmente il pericolo, con la zizzania, con l’inganno o, talora, anche con l’aggressività esplicita, o la pretesa di conoscere anche ciò che è ignoto pure all’altro. Durante l’esacerbarsi di una di queste manifestazioni di debolezza dell’animo umano, i due furono bombardati da una tale quantità di domande e giudizi da stancarsi pure del proprio libero vagabondaggio. Quella volta, dopo anni di quiete e beatitudine, anch’essi si sentirono minacciati ed ebbero bisogno di fuggire via, lontano da tutti; la qual cosa, tuttavia, costituiva un bel problema: come allontanarsi ancora di più dal mondo?

Tra i loro pensieri, presto, prese forma una fiabesca e inenarrabile sciocchezza, qualcosa di buffo e impensabile, quell’impensabile tra i pensieri, cioè quella contraddizione che solamente i bambini potrebbero concepire spontaneamente, convincendosi di farla franca. In pratica, per un po’, andarono alla ricerca di un letto matrimoniale, un obiettivo insolito per loro; eppure, sì. Infatti, ogni qual volta in cui qualcuno proponeva loro un divano, rifiutavano seccamente e col sorriso sulle labbra. L’ilarità che mostravano insospettiva parecchio l’interlocutore di turno, ma per loro poco importava: era, per l’appunto, altro; e questo bastava a non impensierirli. Come si può immaginare, non fu affatto difficile, trovare un letto con delle caratteristiche essenziali. Dopo che lo ebbero trovato, lo studiarono a lungo, tanto che il generoso proprietario, pensando che l’offerta non fosse di loro gradimento, ne fu quasi indispettito. Visibilmente soddisfatti, si scambiarono delle occhiate di passione e gioia, lasciarono cadere a terra le bisacce e non persero tempo a distendersi. Il padrone di casa, sempre più sbigottito, li lasciò fare e, senz’aggiungere altro, si defilò.

“Vuoi venire a casa mia?” disse lei, appena distesasi.

“Dove, amore mio?”

“Lì, sotto il letto.” rispose la donna disinvolta e risoluta.

L’uomo esitò, benché l’esitazione, come potrebbe sembrare di primo acchito, non fosse causata da sbigottimento.

“Secondo te, riusciremo a nasconderci bene? Voglio dire… Ci troveranno? Io non voglio che ci trovino.”

“Se continueremo ad amarci così, non ci troveranno mai e, se ci troveranno, non ci vedranno, te lo assicuro.”

“Non è necessario che tu me lo assicuri. Volevo solo sentirtelo dire.”

Dei due non si parlò più. A dire il vero, nessuno si preoccupò mai della loro scomparsa.

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