Ottativo, il modo del desiderio

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col contributo di ricerca di Vittoria Cavallaro

Περὶ δὲ τῆς εἰρήνης πρῶτον διαλεχθῶμεν καὶ σκεψώμεθα τί ἂν ἐν τῷ παρόντι γενέσθαι βουληθεῖμεν ἡμῖν: Perì de tes eirènes pròton dialechthòmen kai skepsòmetha ti an en to parònti ghenèsthai boulethèimen hemìn [Consideriamo e valutiamo a proposito della pace che cosa vorremmo ci succedesse nel presente (ISOCRATE, Sulla pace, 18, in Opere, vol. 1, a cura di M. Marzi, 1998, UTET, Torino, trad. nostra, p. 402)].

La frase del retore ateniese Isocrate è un esempio utile e prezioso (…prima di dare in escandescenze per l’uso dell’aggettivo “prezioso”, si legga un po’ oltre!) di simmetria semantico-modale; la qual cosa è – sia chiaro! – non già merito esclusivo dell’autore, che di certo non demerita, bensì caratteristica d’una lingua, quella greca, i cui parlanti esprimevano compiutamente ed esplicitamente la componente desiderativa della parola. L’utilità, pertanto, è anzitutto nella lingua e nei suoi modi. I Greci, in pratica, accogliendo e rielaborando il patrimonio linguistico indoeuropeo, affidavano il desiderio a un preciso modo del verbo, l’ottativo, che, in latino e, di conseguenza, anche in italiano, è stato assimilato dal congiuntivo. Proprio dalla lingua latina, che, per noi di formazione romanza, è il principale medium morfo-sintattico, otteniamo il verbo optāre, che significa non solo desiderare, ma anche scegliere, richiedere, augurarsi, sperare.

Di tibi dent quaequomque optes [Gli dei ti concedano tutto ciò che desideri (T. MACCI PLAUTI, Miles gloriosus, 1038, in Comoediae, tomus II, a cura di W. M. Lindsay, 1952, Oxonii, e Typographeo clarendoniano, trad. nostra, p. 57)].

Ci si rende conto, dunque, che la scelta dei grammatici, in fase di definizione didattico-epistemologica, s’è chiaramente sostanziata nella νόησις (nòesis), prim’ancora che sui testi, come se il νοεῖν (noèin), ovverosia quel conoscere che è soprattutto un sentire, un avere in animo, uno scorgere, precedesse la norma verbale e la stessa istruzione grammaticale. Non a caso, in greco, non era ammessa e concepita alcuna consecutio temporum, mentre, al contrario, ci sia avvaleva della consecutio modorum. Nella pratica, a un tempo storico (imperfetto, aoristo, piuccheperfetto) della reggente seguiva, per l’appunto, un ottativo obliquo atto a sostituire indicativo e congiuntivo. Ciò dipendeva principalmente dall’esigenza di marcare la volontà del locutore, distinguendo nettamente l’espressività dall’oggettività.

Nel frammento che abbiamo scelto per illustrare la forza sistemico-modale e concettuale dell’apparato verbale greco, rileviamo anche, dal punto di vista del parlante contemporaneo estraneo a certe nozioni, una certa complessità linguistico-strutturale, dalla quale siamo filogeneticamente educati, ma di cui, di rado e difficilmente, ci rendiamo conto.

È bene dire, in principio d’analisi, che la sintassi in questione si sviluppa tra una interrogativa indiretta, introdotta dal pronome interrogativo τί (ti), e l’esortazione dei congiuntivi aoristi διαλεχθῶμεν (dialechthòmen, consideriamo) e σκεψώμεθα (skepsòmetha, valutiamo), che si formano, rispettivamente, da διαλέγομαι (dialègomai) e σκέπτομαι (skèptomai). Anche il verbo della proposizione subordinata è un aoristo, ma, questa volta, è reso col modo ottativo: dal presente indicativo mediopassivo βούλομαι (boùlomai, voglio) si ha βουληθεῖμεν (boulethèimen, vorremmo). Bisogna comprendere che l’intero periodo non ha alcuna connotazione temporale o, diversamente, non è determinato da alcuna giustapposizione tra i tempi: l’unico valore temporale che si possa rintracciare nel verbo greco appartiene all’indicativo, oltre il quale ogni azione è da considerarsi solo secondo un criterio aspettuale. Se, infatti, osserviamo attentamente la sequenza dei significanti del frammento isocrateo (διαλεχθῶμεν- σκεψώμεθα- βουληθεῖμεν), non facciamo fatica a riconoscere il principio dialettico dell’aspettualità: tre aoristi, come s’è detto: due congiuntivi, il cui segno grafico distintivo è costituito dall’allungamento della vocale tematica, uno ottativo, la cui caratteristica è rappresentata dallo iota (-ι-). L’ἀόριστος χρόνος (aòristos chrònos) è il tempo indeterminato, che si oppone in modo radicale non solo a tutti i χρόνοι ὡρισμένοι (chrònoi horismènoi, tempi determinati), ma anche alla nostra abituale concezione della durata, della compiutezza o dell’incompiutezza: con l’aoristo si esprime l’azione pura e semplice. È assai nota, a tal proposito, la sentenza delfica γνῶϑι σεαυτόν (ghnòthi seautòn, conosci te stesso), costruita sull’imperativo aoristo di γιγνώσκω (ghighnòsko), in cui l’atto del conoscere non ha inizio né fine; si tratta, anzi, di un conoscere che ha il proprio fondamento nell’identità morale del soggetto cui è rivolto e la cui retta condotta non può dirsi mai compiuta.

A questo punto, si può intuire la profondità semantica generata dalla combinazione aspettuale e modale di aoristo e ottativo in βουληθεῖμεν: la volontà e i desideri del parlante, propri dell’ottativo, sono riferiti e, soprattutto, ‘fatti esistere’ attraverso l’unica categoria verbale possibile, quella del tempo senza tempo.

“(…) cosa vorremmo (…)”

A noi, parlanti contemporanei, mancano del tutto l’aspettualità dell’aoristo (non l’aspettualità in generale, si badi bene; anche il verbo italiano è caratterizzato dall’aspetto!), confluita nel perfetto latino, pur se in modo ‘forzoso-convenzionale’, e, ancor di più, la potenzialità dell’ottativo, che, oggi, possiamo rendere solo col condizionale, sebbene quest’ultimo modo abbia perduto in parte l’originaria valenza desiderativa.

Ad acquisire maggiore consapevolezza della fenomenologia dell’ottativo è opportuno studiarne l’uso indipendente. Esso, infatti, da solo o in unione con le particelle εἰ (ei), εἴθε (èithe), εἰ γάρ (ei gar), ὡς (hos), esprime proprio un desiderio realizzabile.

Εἴθε ἀνδρείως μάχοιο (èithe andrèios màchoio, voglia il cielo che tu combatta valorosamente)

Ἅι γὰρ ἐμοὶ τοσσήνδε θεοὶ δύναμιν περιθεῖεν, / τείσασθαι μνηστῆρας ὑπερβασίης ἀλεγεινῆς, / οἵ τέ μοι ὑβρίζοντες ἀτάσθαλα μηχανόωνται: Hai gar emòi theòi dýnamin perithèien, / tèisasthai mnestèras hyperbasìes alegheinès, / hoi te moi hybrìzontes atàsthala mechanòontai [Magari gli dei mi vestissero di tanto potere, / da punire i pretendenti della loro tracotanza molesta, / essi che, prepotenti, preparano scelleratezze a mio danno (OMERO, Odissea, III, 205-207, a cura di A. Heubeck e S. West, trad. it. di G. A. Privitera, 1981, Fondazione Lorenzo Valla, pp. 88-89)].

In latino, questo augurio si ricostruisce col congiuntivo generalmente preceduto da utinam.

Utinam strenue pugnes (voglia il cielo che tu combatta valorosamente).

Utinam quae dicis dictis facta suppetant! [Voglia il cielo che i fatti corrispondano alle tue parole! (T. MACCI PLAUTI, Pseudolus, 108, in Comoediae, a cura di W. M. Lindsay, tomus II, 1952, Oxonii, e Typographeo Clarendoniano, trad. nostra, p. 262)].

Si nota, quindi, l’assimilazione dell’ottativo di cui s’è parlato in precedenza. Al fine di rendere sempre più efficace la componente didattico-esplicativa del nostro contributo, appare più che interessante far notare che l’ottativo si può utilizzare se e solo se il desiderio è realizzabile. Un desiderio irrealizzabile, infatti, non può più rientrare nella dimensione dell’opto, cioè dell’io desidero, io scelgo, io mi auguro et similia: se è irrealizzabile, io non scelgo di ‘non potere realizzare’ ciò che desidero. Di conseguenza, dev’essere espresso con un tempo storico; il che non implicherebbe collocazione dell’atto linguistico nel passato, ma sancirebbe esclusivamente impossibilità.

Il concetto di possibilità è il nucleo semantico principale del modus optativus, tanto che, consultando una qualsivoglia grammatica greca, si trova, sempre e facilmente, un paragrafetto dedicato proprio all’ottativo potenziale, altro modo per esprimere qualcosa di possibile nel presente.

Τοῦτο ἄν ποιοῖμι (toùto an poiòimi, potrei fare questo).

Λέγει που Ἡράκλειτος ὅτι “πάντα χωρεῖ καὶ οὐδὲν μένει, “καὶ ποταμοῦ ῥοῇ ἀπεικάζων τὰ ὄντα λέγει ὡς “δὶς ἐς τὸν αὐτὸν ποταμὸν οὐκ ἂν ἐμβαίης“: Lèghei pou Heràkleitos hòti “pànta chorèi kai oudèn mènei” kai potamoù rhoè apeikàzon ta ònta lèghei hos “dis es ton autòn potamòn ouk an embàies” [Dice Eraclito che “tutto si muove e nulla sta fermo” e confrontando gli esseri alla corrente di un fiume, dice che “non potresti entrare due volte nello stesso fiume” (PLATONE, Cratilo, 402a, in Tutte le opere, vol I, a cura di E. Maltese, 1997, Newton, Roma, pp. 298-301)].

In latino, come si è precisato più volte, ricorreremmo al congiuntivo.

Hoc faciam (potrei fare questo)

LAELIUS: Est, ut dicis, Cato; sed fortasse dixerit quispiam tibi propter opes et copias et dignitatem tuam tolerabiliorem senectutem videri, id autem non posse multis contingere [LELIO: È come dici, Catone, ma forse qualcuno potrebbe obiettare che a te l’età senile si presenta più tollerabile grazie al potere, alla dignità che hai, una condizione, però, che non può toccare a tutti (M. TULLIO CICERONE, Cato maior de senectute, III, 8, in Opere politiche e filosofiche, vol. III, a cura di D. Alessandro e G. Micunco, 2007, UTET, Torino, pp. 442-443)].

Merita un’ultima considerazione l’uso concessivo dell’ottativo, che troviamo nell’espressione εἴη (èie), terza persona singolare dell’ottativo presente attivo del verbo essere che traduciamo con sia pure.

Ἀναλάβωμεν οὖν ἐξ ἀρχῆς τίς ἡ κατηγορία ἐστὶν ἐξ ἧς ἡ ἐμὴ διαβολὴ γέγονεν, ᾗ δὴ καὶ πιστεύων Μέλητός με ἐγράψατο τὴν γραφὴν ταύτην. εἶεν· τί δὴ λέγοντες διέβαλλον οἱ διαβάλλοντες; Analàbomen oun ex archès tis he kategorìa estìn ex hes he emè diabolè ghègonen, he de kai pistèuon Mèletòs me egràpsato ten graphèn tàuten. Èien; ti de lègontes dièballon hoi diabàllontes? [Riprendiamo dunque da capo qual è l’accusa dalla quale è derivata la calunnia sulla quale si è fondata la convinzione di Meleto quando mi ha intentato queta causa. E sia. Cosa dicevano dunque i miei calunniatori? (PLATONE, Apologia di Socrate, 19 ab, in Tutte le opere, vol. I, a cura di E. Maltese, 1997, Newton Compton, Roma, pp. 66-67)].

Fremant omnes licet, dicam quod sentio: bibliothecas me hercule omnium philosophorum unus mihi videtur XII tabularum libellus, si quis legum fontis et capita viderit, et auctoritatis pondere et utilitatis ubertate superare [Protestino pure tutti, io dirò ciò che penso: la sola raccolta delle Dodici Tavole mi sembra che superi per peso di prestigio e ampiezza di autorità le librerie di tutti i filosofi (M. TULLIO CICERONE, De oratore, I, XLIV, 195, in Opere retoriche, vol. I, a cura di G. Norcio, 1970, UTET, Torino, p.188)].

Come scrive Laura Tusa Massaro, sapiente e brillante in Sintassi del greco antico e tradizione grammaticale (1993, p. 163), ricostruendo la fonte apolloniana, il processo di significazione dell’ottativo trae origine dall’εὐχή (euchè), ossia dalla preghiera e assume presto, nella tradizione, la definizione di εὐκτική ἔγκλισις (euktikè ènklisis, modo del desiderio). Il modus optativus nasce e si esplica nell’εὔχεσθαι (èuchesthai): pregare, supplicare, sperare.

Modus itaque verborum sive inclinatio in quinque deducitur partes. aut enim finitiuus est modus aut imperativus aut optativus aut subiunctivus aut infinitivus [Pertanto, il modo o ‘disposizione’ è distinto in cinque parti: indicativo, imperativo, ottativo, soggiuntivo, infinito (DIOMEDIS, De arte grammatica, I, a cura di J. Rivius, 1511, J. Rubeus, trad. nostra, Verona, p. 25)].

Bibliografia minima essenziale

APOLLONII DYSCOLI quae supersunt, a cura di R. Schneider e G. Uhlig, 1878, Teubner, Lipsiae

BASILE, N., 1998, Sintassi storica del greco antico, Levante, Bari

BATTAGLIA, S., 1961-2002, GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italiana), 21 voll., UTET, Torino

BEEKS, R., 2010, Etymological dictionary of Greek, A. Lubotsky, Leiden-Boston

CALONGHI, F., 1898, Dizionario latino-italiano, secondo la sesta e ultima edizione tedesca di C. E. Georges, Rosenberg & Sellier, Torino

CONTE, G. B., PIANEZZOLA, E., RANUCCI, G., 2010 (3), Vocabolario della lingua latina, Le Monnier, Firenze

HEILMANN, L., 1963, Grammatica storica della lingua greca, in Enciclopedia classica (direzione di G. Battista Pighi, C. Del Grande, P. E. Arias.), sez. II, vol. V, tomo III, SEI

NOCENTINI, A., PARENTI, A., 2010, Vocabolario etimologico della lingua italiana, Le Monnier, Firenze

PIERACCIONI, D., 1981 (8), Grammatica greca, Sansoni, Firenze

TUSA MASSARO, L., 1993, Sintassi del greco antico e tradizione grammaticale, L’Epos, Palermo

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