La telefonata di Dio

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Qualche giorno fa, poco dopo le cinque del mattino, ora della mia solita sveglia, mi telefonò Dio. A quell’ora – lo ammetto – avrei preferito un messaggio di WhatsApp o – meglio – una semplice emoticon che mi consentisse un risveglio dolce e graduale, ma si sa com’è fatto Dio, è tutto d’un pezzo. Intendiamoci, non mi soprese che si rivolgesse a me con quel mezzo; non dubitavo mica che fosse al passo coi tempi, tuttavia mi sentivo piuttosto inadeguato ad accoglierlo, anche ammettendo di essere un destinatario privilegiato.

Nessuno mi ha ancora detto d’avere ricevuto una telefonata simile, anche se è pur vero che, spesso, si ha paura di raccontare certe storie. A ogni modo, quella mattina, il telefono squillava in modo atipico. Sulle prime, a ogni squillo seguiva un bagliore, tant’è che pensai d’avere impostato per errore chissà quale applicazione. Guardai con sospetto e paura il display per capire chi aveva avuto il coraggio di telefonarmi a quell’ora e vidi una strana sequenza di zero e uno, sicuramente un codice binario che scorreva ininterrottamente da sinistra a destra. Mi sembrava improbabile che fosse un call center alle cinque del mattino, ma non trovavo altre spiegazioni logiche. Incuriosito e attonito, esitavo a rispondere e, quanto più tardavo, tanto più cresceva il volume della suoneria. Incredibile a dirsi: quell’aggeggio sembrava spazientito e offeso dal mio indugio. Atterrito, mi aggrappai al bordo del tavolo, schiacciandomi sullo schienale della sedia, e cercai di ritrovare un po’ di lucidità. A quel punto, decisi di rispondere soprattutto per salvare i miei timpani ed evitare d’impazzire.

“Sì, prrr… pronto?” la mia voce tremava; il che non deponeva a mio favore. “Era ora!” replicò dall’altra parte una voce tenorile e cavernosa. “Cominciamo bene” dissi tra me, ma non feci in tempo a dare forma al pensiero che mi sentii dire “Eh, no! Cominciamo male!”. Chiunque fosse, era in grado di leggere i miei pensieri! Certamente, non immaginavo ancora che potesse essere l’Onnipotente. Diciamocelo chiaramente: già nel momento in cui scriviamo “l’Onnipotente”, escludiamo dal linguaggio qualsiasi altro elemento, a tal punto che bisognerebbe smettere di scrivere e lasciare bianca la pagina! Figuriamoci l’Onnipotente per telefono! “Chi è?” chiesi timidamente. “Sono Dio.” fu la risposta. Non sapevo se ridere o cercare uno spigolo dove sbattere la testa, ma, siccome la stupidità in ciascuno di noi viene fuori proprio quando serve la sagacia, io formulai la peggiore delle domande che si potessero fare in quelle circostanze: “Dio chi?”. Che vuol dire “Dio chi?”? In ogni caso, è un interrogativo privo di fondamento. Solo adesso provo a spiegarmene il motivo e immagino di averlo chiesto perché il bisogno di scoprire un’identità era troppo forte. E sono pure certo della mia buona fede perché per me era impossibile che quella voce appartenesse a Dio. Altrimenti, non mi sarei mai permesso di chiedere un nome a Dio. L’esperienza di Mosè, che chiese qualcosa di simile per essere in grado – disse lui – di rispondere agli israeliti, quando gli avessero chiesto “Chi ti manda?”, è già un deterrente abbastanza valido. Ricordo di essere svenuto, immediatamente dopo aver fatto la domanda. Dopo che mi fui ripreso, mi fu spiegato che quello era solo un avvertimento, nulla di preoccupante, ma un segno necessario a che ognuno stesse al proprio posto.

A quel punto, quantunque ancora diffidente e scettico, mi sottomisi alla sua volontà. Nonostante l’apparenza, ero quasi sicuro che costui non fosse violento o minaccioso; s’intuiva che non c’era affatto traccia di ostentazione o spocchia; era un suo modo di fare insopprimibile e naturale. Queste considerazioni, in effetti, mi rassicurarono, cosicché, non senza una ritrovata e improvvisa risolutezza, gli dissi: “Va bene, Dio. Perdonami per la mia stupidità, ma dimmi pure! In cosa posso esserti utile?”. Finito che ebbi di pronunciare quelle parole, mi diedi una manata sulla fronte e aggiunsi tra me: “Coglione! Come si può pensare di essere utili all’Onnipotente?”. È pur vero che, fino a quel momento, permaneva in me l’incertezza, ma, se avevo deciso di riconoscerlo come Ente Sommo, non potevo pensare di essergli utile in alcun modo. Le parole tradivano i miei buoni propositi oppure ero convinto che i miei propositi fossero buoni, quando in realtà non lo erano. Non saprei davvero cosa dire in tal senso. “Perdonami? Dimmi?” intervenne lui aggiungendo: “Ti stai montando la testa. Spetta a me decidere se perdonarti o chiederti qualcosa”. Non nascondo che una certa irritazione ebbe la meglio su di me: non mi era lecito chiedere perdono, non mi era consentito invitare il mio interlocutore al dialogo. Di conseguenza, sembrava che mi fosse negata l’opportunità di parlare. Allora, per quale motivo mi aveva contattato e concesso di rispondere al telefono, esordendo addirittura con “Era ora!”? Mentre io, complice una pausa di silenzio, pensavo tutto questo, Dio, con un tono paterno e amorevole mi disse: “Ecco, adesso hai un esempio di libero arbitrio e, insieme, di misericordia! Hai fatto e detto anche ciò che non è ammesso e non ti ho mica fulminato. Al contrario, mi pare che tu ora sia pure più sereno e spigliato. Credo di esserti stato utile, in poche parole”. Aveva ragione lui, c’è poco da dire, ma non avrebbe potuto avere torto. Da quel momento in poi, la conversazione fu molto più spedita, sebbene interrotta di tanto in tanto dalle mie riflessioni che Dio mi concedeva di buon grado. “Caro ragazzo, in effetti, puoi essermi utile”. Mi aveva chiamato “ragazzo”, eppure avevo già oltrepassato la soglia dei quarant’anni. Come contestare un’espressione di tempo a qualcuno che non ha età? Ci vuole coraggio, è vero, ma bisogna ammettere che, più spesso di quanto possiamo immaginare, il linguaggio perde ogni significato proprio perché ogni parola può averne tanti che non se ne può più designare uno: amore, odio, brutto, bello, pace, guerra, piacevole, spiacevole, bontà, cattiveria e tanti vocaboli, ma, soprattutto, Dio.

Restava comunque che finalmente io stesso avevo un significato in quella scena surreale; io potevo essergli utile. “In che modo posso dirti, Dio, che puoi contare su di me? Mi spiego meglio: se ti dico ’puoi contare su di me’, posso apparire presuntuoso; se ti dico ‘eccomi’, l’espressione è equivoca già sul nascere, oltre che troppo elevata per me; insomma, qualunque cosa io dica…”. Non mi fece concludere il tentativo di spiegazione e affermò con estrema disinvoltura: “Ho bisogno di un prestito e io ho scelto te, ma c’è un problemino”. È fin troppo chiaro che non ebbi la forza di commentare la richiesta. Dio, l’Onnipotente, aveva bisogno di un prestito. Era troppo per me. Riuscii solo a battere i denti e a sospirare, laddove avrei dovuto, questa volta sì, fare qualche domanda di approfondimento. Fui scosso ancora una volta da Lui: “Non t’interessa sapere qual è il problemino?”. “Certo” risposi, come se fosse la risposta più ovvia di questo mondo, anche se di ovvio ormai non m’era rimasta neppure la presenza fisica. “Be’, mi spiace dirtelo, caro ragazzo, ma anche Dio si è messo nei guai. Come sai, ho aiutato tanta gente, nel tempo, spesso facendo anche da garante, e mi sono accorto di essere stato segnalato in crif come cattivo pagatore”. “Ah! Pure?” sbottai, senza sapere neppure a chi rivolgermi. “Riepilogando: non solo Dio ha bisogno di un prestito, ma è pure segnalato in crif.  Ci sono per caso reati contro il patrimonio?”. Non volevo essere blasfemo o irriverente, credetemi, ma mi riusciva difficile mandare tutto giù senza battere ciglio. “Non fare sarcasmo e affronta la cosa con serietà, altrimenti cambio consulente!” mi rimproverò. “Dio, ti porgo le mie scuse”. Avrei voluto aggiungere tante altre cose che potessero giustificare la mia condotta, ma non ne fui capace.  “Promettimi di comportarti da professionista!”. Io lo promisi prontamente. Mi affrettai così a darmi un certo contegno professionale, ma facevo fatica a mettere insieme dei pensieri validi o per lo meno a considerare Dio un cliente qualunque. Mi sforzai pure di dire a me stesso che un cliente così non sarebbe ricapitato facilmente e che il treno passa una sola volta e tante altre castronerie di circostanza per tirarmi su e fare bella figura, ma, quando ebbi deciso di parlare, lo feci con una voce fioca, appena udibile: “Bene, Dio, che garanzie hai?”. Poi, sussultando d’angoscia, dissi tra i denti: “Sto per impazzire: parlo con Dio e gli chiedo delle garanzie”. Pensai di avere commesso il più grave degli errori: Dio stesso dovrebbe essere la suprema garanzia, anche se, in quella scena, io, che pensavo a Dio come garanzia suprema, non ero garanzia d’un pensiero valido, non mi reputavo attendibile, cosicché tutto ciò che mi passava per la testa era immediatamente revocato in dubbio. Dio, che, invece, era calmo e paziente, mi disse: “Tu credi che oggi i banchieri siano disposti ad accettare me come garanzia? Sei troppo buono e troppo ingenuo. Non c’è fede che tenga, ragazzo mio!”. Aveva usato il possessivo “mio”; il che mi aveva dato una bella scossa, facendo fluire il mio discorso più rapidamente. “Potresti sempre convincerli a modo tuo. Sei Onnipotente. Perché non lo fai? Non c’è mica il rischio che tu non paghi il tuo debito.” dissi con tutta l’inettitudine di cui ero capace.”. “Eh, no!” rispose Lui “Qui, commetti un grosso errore. Non posso mettermi a giocare con la volontà degli uomini. Ti faccio un esempio. Ti sei sicuramente reso conto che m’intrometto raramente nei tuoi pensieri, pur conoscendoli. Ti lascio dubitare, preoccupare, aver paura; ti lascio fare tutto ciò che vuoi. Di tanto in tanto, ti do qualche segno. Sta a te coglierlo”. Mi misi subito in bocca una frangia dello scialle in cui mi ero avvolto, come a proteggermi, mi chinai sul tavolo nel tentativo di trovare la necessaria capacità di concentrazione e gli posi una domanda che fino a quel momento, stranamente, non aveva destato il mio interesse: “Ti supplico di perdonarmi per la mia impertinenza, ma ho bisogno di farti una domanda. Perché non ti sei rivolto alla Banca Vaticana, l’Istituto per le Opere di Religione?”. “Devi comprendere che sono stato impedito dal pesante conflitto d’interessi.” rispose prontamente. “Non avevo voglia di metterli in difficoltà costringendoli a tirare fuori del denaro per me, dal momento che mi trovo in una posizione spiacevole”. Mi limitai, sulle prime, ad annuire. Poi, essendo stato già richiamato all’ordine, tornai sulla questione delle garanzie. “Dio, ti prego di perdonarmi, ma devo chiederti di nuovo quali sono le tue garanzie”. A quel punto, Dio si mostrò abbastanza contrariato: “Smetti di scusarti e chiedere perdono, tutte le volte in cui parli, altrimenti ci vuole un’eternità per avere un mutuo!”. <<Ho capito. Ho capito. Ho capito.” recitai, come se il mio fosse un ritornello liturgico. “A dire la verità, non mi manca il tempo.” disse lui “Ma quei signori non si fanno scrupoli a mandarmi un ufficiale giudiziario a pignorare i beni del Paradiso. E tu capisci che questo non deve accadere”. “Lo capisco benissimo.” mi affrettai ad aggiungere, ma ero già stato assalito dalla paura. Come avrei potuto risolvere un problema di tale portata? Il buon Dio correva già il rischio del pignoramento? Pertanto, non si trattava di una semplice segnalazione per un ritardo nei pagamenti delle rate. Bisognava fargli le domande giuste, leggere i documenti. Insomma, una bella gatta da pelare. Al buon Dio non mancava di certo la perspicacia e cominciò a ragionare sui beni mobili e immobili che potessero fare al caso nostro. “Allora, fammi pensare! Gli immobili dell’area d’ingresso del Paradiso sono tutti ipotecati, quelli dell’ultima area sono intoccabili, sono per pochi eletti e non se ne deve parlare. E inoltre ci vorrebbe la firma di mio figlio. Per carità, ha già troppi pensieri ed è indebitato pure lui, non voglio complicargli ancora la vita. Da quando ha subito l’esecuzione immobiliare per il Tempio di Gerusalemme, non gli si può più parlare di queste cose”. Poi, ci fu una lunga pausa, durante la quale io non osai spiccicare neppure una sillaba.

A bruciapelo, mi chiese: “Credi che il Purgatorio si possa utilizzare? Ne ho concesso buona parte in comodato d’uso gratuito, ma l’ultima sezione, quella che precede il Paradiso, è ancora libera e dovrebbe avere un certo valore immobiliare. Considera pure che il terreno tutt’intorno è edificabile e, come sai, se è necessario, mi ci vogliono pochi giorni per tirare su qualcosa. Oppure… No, lasciamo perdere! Per l’Inferno il contenzioso giudiziario è secolare. Lucifero non riesce mai a rispettare gli accordi e i tempi della giustizia sono incommensurabili. Dunque, che ne dici? Possiamo usare il Purgatorio?”. “Be’, certo, si potrebbe…” dissi riflettendo ad alta voce “Ma occorrerebbe avere anzitutto una perizia asseverata”. “Questo è pure vero.” commentò Dio. “Allora, cominciamo dalle cose semplici!” intervenni io almeno per apparire capace, ma mi rendevo conto di essere sul punto d’imboccare un sentiero senza ritorno. “Carta d’identità e codice fiscale. Mi servono.”. Parlai come per sputare un boccone che stava per ostruirmi le vie respiratorie. Chiedere riconoscimento e anagrafica a Dio era un atto che oltrepassava ogni possibile cognizione, tuttavia era necessario. Forse che Dio aveva nome e cognome, residenza e via discorrendo? Fui pervaso da un senso di nausea, mentre attendevo la sua risposta, ma feci del mio meglio per dominare e nascondere il mio stato d’animo.

Così, mi abbandonai a una modesta riflessione: “Noi, è vero, siamo molto attaccati al nome e fin da piccoli ne diamo prova firmando su ogni pezzo di carta che ci passi dalle mani: ciò accade perché, pur essendo presuntuosi ed egocentrici sul nascere, di fatto, non sappiamo mai chi siamo e dubitiamo profondamente del senso di ogni nostra azione. È un sentimento che ci accompagna per tutta la vita”. “Non fare il filosofo!” mi ammonì con voce tonante. “Altrimenti, non ne usciamo più! Belle riflessioni, per carità, ma, se non servono a tirare fuori i soldi, falla finita! Non volevo ostacolare la tua introspezione, ma sai che ho i tribunali alle calcagna”. “I tribunali…” ribattei un po’ impacciato. “Quale tribunale può permettersi di giudicare Dio?” “Mio caro, questa è teologia, cioè un ragionamento su Dio. E tu vuoi metterti a fare un ragionamento su Dio con Dio stesso?” e continuò, senza lasciarmi rispondere, anche se io non avevo affatto intenzione di rispondere: “Adesso, andiamo avanti! Hai detto che ti servono la mia carta d’identità e il mio codice fiscale. Bene. Ti mando subito un’e-mail. Cos’altro serve?”.  Perché colui che sa tutto mi faceva queste domande? Servono tanti documenti per accedere a un credito importante. E questo Dio non può non saperlo. Mi stava mettendo alla prova? Mi toccava chiedergli quale fosse il suo lavoro, dovevo farmi consegnare i documenti di reddito? Non mi persi d’animo soprattutto perché non avevo scelta: “Dio, che lavoro fai?” domandai bruscamente, già pronto a ricevere il castigo che meritavo. Egli invece rispose con pacatezza, ma non senza esitazione: “Da dove cominciamo? Ehm… Be’, principalmente il costruttore. Tutto quello che vedi attorno a te l’ho costruito io o l’ho fatto costruire tra appalti e subappalti. Ma ho fatto anche altre cose: tutto ben documentato, attenzione! Hanno cominciato a scrivere di me parecchie migliaia di anni fa. Mi sono sempre stati addosso e, credimi, sono peggiori dell’agenzia delle entrate o della guardia di finanza. Non me ne voglia la Guardia di Finanza! È solo un modo di dire”. “Certo.” aggiunsi io. “Ho letto qualcosa su di te. Si sa di te anche quando non se ne vuole sapere. Comunque, ho bisogno di sapere se tu abbia una società o una ditta individuale”. “Società?” urlò lui. “Non voglio neanche sentirne parlare. Ho una semplice ditta individuale”.

Se fino a quel momento avevo mantenuto una certa voglia di meditare e speculare sulla bizzarra vicenda, l’urlo spazzò via ogni mio residuo talento, ammettendo che ne avessi anche solo un po’. Il buon Dio era pratico, spicciativo e, a mio modo di vedere, pure burlone; il che non guastava affatto, anzi rendeva più facile la conversazione. Come s’è detto in più circostanze, non si poteva certo dubitare delle infinite risorse di Dio. Il dubbio vero ero io: lo ero prima della telefonata e continuavo a esserlo durante la telefonata, anziché godere del grandioso privilegio che mi era stato concesso. Be’, noi esseri umani siamo fatti così: preferiamo immaginare di vivere che vivere, così da impiegare la maggior parte del nostro tempo a desiderare che accada qualcosa e, stranamente, quando ne siamo protagonisti, dedichiamo tutti i nostri sforzi a trovare la definizione e la giustificazione adatte e finiamo col non vivere più. Dunque: io non stavo traendo i giusti benefici dalla telefonata di Dio. Mi misi a elencare i documenti necessari all’istruttoria del mutuo. Il mio obiettivo era quello di non porre più domande e lasciare che il dialogo avesse un proprio flusso, ma non ebbi particolare fermezza.

“Allora, Dio, oltre alla carta d’identità e al codice fiscale, devi darmi gli ultimi due modelli unici, il certificato di residenza, quello dello stato di famiglia, naturalmente la perizia di cui abbiamo già parlato…” e continuai a elencare fino a quando fui stato interrotto da lui, che, sbalordito e infastidito, mi disse: “Ragazzo, fammi capire, io in sette giorni ho fatto il mondo e voi, in sette giorni, non riuscite a fare neppure la raccolta dei documenti? A questo punto, mi chiedo quanto tempo impieghino le vostre banche per cacciare fuori i soldi, considerando, tra le altre cose, che non me li regalano mica”. “Dio, io non voglio deluderti.” dissi io, non senza un po’ di rammarico “ma una banca italiana è perfettamente in grado di far trascorrere due o tre mesi per una pratica di consolidamento, come quella che ti riguarda, per poi trovare un cavillo e non darti un centesimo. Dopo gli accordi di Basilea e, soprattutto, dopo il 2008, in realtà, non si capisce bene quale sia il lavoro delle banche. Pertanto, caro Dio, tu in sette giorni hai fatto il mondo, una banca in sette giorni non ti dà neppure un appuntamento”. “Apprezzo la tua chiarezza. Non me lo aspettavo.” disse seccamente.

Era un po’ deluso, lo si sentiva dal tono, che era cambiato improvvisamente. E io ero impotente. Non potevo promettergli un risultato che non avrei ottenuto così facilmente. Per di più, Dio era messo male in crif, segnalato per ritardi di pagamento, molto probabilmente regolarizzati, ma spesso basta molto meno per finire nella lista nera e vedersi chiudere la porta in faccia. I miei problemi erano seri e cominciavano in quel preciso istante, cioè dopo aver discusso con lui di alcuni requisiti essenziali. Dio sembrava estraneo alla logica del credito. Era persuaso, molto verosimilmente, che fede e misericordia fossero sufficienti a istruire una relazione commerciale di quel tipo. D’altronde, erano le sue condizioni essenziali. Era impossibile, in teoria, non fidarsi di lui. Bisognava fargli capire che, da noi, non basta essere onesti e puntuali nei pagamenti per una vita intera per essere accolti con benevolenza, quando si ha bisogno di denaro. Infatti, se, dopo un’esistenza di rettitudine, non si paga una rata, si è trattati alla stregua dei truffatori e nessun legislatore se n’è mai preoccupato. Per noi, è tutto normale, fa parte di un gioco di cui non abbiamo mai accettato le regole, ma che ci siamo abituati a giocare perché non avremmo potuto fare altrimenti. Ma per lui no! Non era e non può essere così. Cominciavo a sperare che non si rendesse conto fino in fondo di come stavano le cose perché, qualora si fosse risentito e avesse deciso di punire i banchieri, io sarei rimasto senza lavoro. È vero che non me la passavo benissimo, ma era altrettanto vero che non avevo molte altre opportunità: di fatto, questo lavoro mi piaceva, me la cavavo e puntavo a modificare in meglio il mio ruolo.

“Bene, caro Dio, sono pronto a mettermi a lavorare per te.” sentenziai ostentando risolutezza. “Non posso prometterti risultati immediati, ma ti assicuro di fare tutto ciò che è in mio potere”. “Capisco.” si limitò a dire lui. Io ne fui raggelato. Lo avevo sentito preoccupato e deluso. Forse, aveva capito davvero come stavano le cose. Dev’essere chiaro che io non ho mai pensato che Dio non fosse in grado di capire, tuttavia, come ho già detto, era abituato a tutt’altra logica: s’era intuito che per Dio esistevano o il bianco o il nero, laddove noi viviamo quasi esclusivamente nel grigio per una vita intera; noi siamo indecisi pure quando dobbiamo decidere cosa mangiare per pranzo: “salsa o piselli” chiediamo ai nostri commensali. “No, tonno” dice uno, e noi, chissà, forse per fare un dispetto, ribattiamo con “insalata”; e siamo tutti consapevoli che finiremo col non mangiare né salsa o piselli né tonno o insalata. Figuriamoci cosa accade con la fede! Se poi cerchiamo di costruire una relazione tra la fede e le banche, non c’è modo di sapere cosa possa succedere.

“Dio, ci sei?>> chiesi disperato al telefono. Dio non era più in linea. Io invece ero in preda all’angoscia. Cominciai a respirare affannosamente, a tremare, sentendo un formicolio sul petto e uno strano bruciore allo stomaco. “Pronto?” ripetei, ma non ebbi alcuna risposta. La conversazione era stata interrotta; lo si poteva accertare dando un’occhiata al display. Trascorsero pochi minuti, ma mi parve di essere tornato indietro di almeno trent’anni: mi sentivo piccolo e indifeso. Poi, sentii l’attacco di un jingle. Era appena arrivata un’email. Controllai rapidamente e con frenesia. L’account di provenienza era dio@regnodeicieli.org. I documenti erano tutti regolarmente allegati. E non mancavano neppure le informazioni che io non avevo chieste a causa dello stordimento. Nessun’altra parola, se non “scrivimi con buone notizie!”. Facile più a dirsi che a farsi. Ero proprio nei guai.

Aveva raccontato tutto senza pause, in preda a un tale fervore che i medici avevano esitato pure a iniettargli in vena il potente sedativo appena preparato per contrastare la sua crisi. In qualche modo, ne erano affascinati. Egli era solito incantare il personale sanitario o chiunque entrasse nell’alloggio con queste stupefacenti narrazioni, sebbene, di volta in volta, venisse sedato: era inevitabile sedarlo perché ogni storia si svolgeva con un’intensità crescente e che, da ultimo, gli procurava incontenibile sconvolgimento. Eppure, il suo eloquio aveva un che di seduttivo, poetico e, insieme, esilarante. Ogni trama del delirio sembrava per lo meno verosimile.

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