Dal suono infantile *ma- madre, materia, matrimonio

Se ti è piaciuto, condividi!
col contributo di ricerca di Vittoria Cavallaro

Nelle grandi occasioni di festa, il popolo d’Israele si riuniva nei luoghi sacri per ringraziare Dio e lo faceva rivolgendo al sommo Re degl’inni cantati, gli ψαλμοί (psalmòi, salmi), lodi ritmiche con le quali si celebravano e si esaltavano le meraviglie della creazione o, talora, si ammonivano gl’infedeli e si fornivano indicazioni sapienziali. Il sole, la luna, i venti, la pioggia, le bestie e tutto ciò che lo sguardo dell’uomo anche a stento conteneva erano, incessantemente e severamente, chiamati a magnificare il Creatore. Uno di questi, in particolare, il 148, è stato è definito lode cosmica, sebbene non manchino, in tutto il Salterio, formule di gioiosa e incondizionata sottomissione.

Lodatelo, sole e luna, / lodatelo, voi tutte, fulgide stelle. / Lodatelo, cieli dei cieli, / voi acque al di sopra dei cieli. / Lodino tutti il nome del Signore, / perché egli disse e furono creati [Sal 148, 3-5].

Solo in questo salmo, di cui abbiamo riportato un piccolo frammento, il sostantivo terra ricorre addirittura quattro volte. In una circostanza, l’ignoto redattore scrive “la sua gloria risplende sulla terra e nei cieli” [ibid., 13]. La terra, infatti, di là dall’argomentazione liturgico-teologica, è quel luogo, unico, immenso e, per certi aspetti, indescrivibile, in cui il Signore manifesta la propria potenza e, per ciò stesso, diventa condizione di sussistenza dello stesso potere divino. Per quanto al salmista riuscirebbe impossibile comporre il proprio canto in questi termini, a noi, con la placidità di una delle tante riletture distaccate, basta ricordare che la terra è materia della creazione: non solo è l’elemento con cui viene fatto Adamo [(…) allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (Gen 2, 7)], ma rappresenta anche l’ambito di esplicazione della parola dell’Altissimo: “E Dio disse: – La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto – (…)” [Gen 1, 11]. Potremmo pure azzardare un’interpretazione teoretica secondo la quale la terra della scena antropogonica è la sola possibile attuazione del λόγος (lògos), ma, così facendo, andremmo molto oltre i propositi che hanno animato questo lavoro. Tuttavia, pur stando attenti a non sconfinare nella metafisica, non possiamo trascurare il fatto che, nelle antiche civiltà, la fertilità della terra era oggetto d’una tale venerazione che la sua forza simbolica veniva glorificata nello ἱερὸς γάμος (hieròs gàmos), ovverosia in quel matrimonio sacro che univa l’elemento maschile, il cielo, all’elemento femminile e produttivo, la terra, per l’appunto, attraverso uno specifico rituale. Attingendo alla mitologia greca, scopriamo che una tra le più pertinenti delle testimonianze letterarie in fatto di ierogamia ci giunge da Esiodo, il quale, nella Teogonia, scrive:

Δημήτηρ μὲν Πλοῦτον ἐγείνατο δῖα θεάων, / Ἰασίῳ ἥρωι μιγεῖσ’ ἐρατῇ φιλότητι / νειῷ ἔνι τριπόλῳ, Κρήτης ἐν πίονι δήμῳ: Demèter men Ploùton eghèinato dìa theàon, / Iasìo hèroi mighèis’eratè philòteti / neiò èni tripòlo, Krètes en pìoni dèmo [Demetra, la divina fra le dee, generò Pluto, unitasi in dolce amore con l’eroe Iasio, in un maggese tre volte arato, nel fertile paese di Creta (ESIODO, Teogonia, 969-974, in Opere, a cura di A. Colonna, 1977, UTET, Torino, pp. 116-117)].

L’abbondanza, che, nella ierogamia, si ha attraverso l’atto sessuale e, nel frammento esiodeo, è adombrata nel “maggese tre volte arato”, era significato essenziale del corno con cui veniva raffigurata la dea Tellus, venerata nell’antica Roma, dove, nel mese di aprile, periodo delle feriae sementivae, era destinataria d’adorazione cultuale. Nella complessa e ricchissima narrazione che lega mitologia e cosmologia, la terra, come attestano i numerosi ritrovamenti di figure steatopigiche risalenti al Neolitico, è anzitutto madre, nell’esercizio sia della propria generosità uterina, che la rende Sophìa o Vergine, sia della propria sensuale violenza, che la rende Kali, Ecate o Gorgone.

Dunque, l’archetipo della madre, terra e condizione d’esistenza del lògos divino, sembra essere già in Dio stesso, cioè nel suo essere Padre.

Il tema, d’altronde, si ripete in modo quasi maniacale in ogni ‘storia della letteratura’ non perché alcuni autori abbiano una poetica maniacale o tossica, ma perché alcuni termini possiedono una sorta di semantica di sostrato, non altrimenti che il loro significato, all’insaputa dei parlanti, producesse significati paralleli, determinasse correlazioni, istituisse nessi di complementarità e, in generale, introducesse funzioni logico-argomentative. In questo senso, madre, prima ancora di essere genitrice di figli, è terra, ma è anche pianta, ramo principale, legno, materia e matrice. Abbiamo anticipato, in poche battute, gli elementi di questo studio, ma non avremmo potuto agire diversamente, giacché il lessico scelto e trattato non ci permette di sottrarci a una continua e avvolgente apocalisse.

Ai più, per esempio, è noto il Cantico delle creature (Laudes creaturarum o Cantico di Frate Sole), testo in volgare umbro che gli storici della letteratura riconducono alla letteratura religiosa del Duecento ed è altrettanto nota la lode a Dio e alla natura, della cui analisi, qui, non ci occupiamo per non distrarci dal lavoro lessicografico. Ciò che è meno popolare, per così dire, è il fatto che questa prosa ritmica costituisce una vera e propria ripresa della salmodia davidica cui abbiamo fatto cenno in apertura.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra madre terra, / la quale ne sustenta et governa / et produce diversi fructi con coloriti flori et herba [FRANCESCO D’ASSISI, Laudes creaturarum, 20-22, in Poeti del Duecento, tomo I, a cura di G. Contini, 2004, Ricciardi, Milano-Napoli, p. 34].

Gli epiteti con cui san Francesco ci presenta la terra sono quelli di “sora” e “madre”: è sorella dell’uomo in quanto, anch’essa, elemento di creazione, ma è madre in quanto dotata di capacità produttiva, fertilità. Il salmista invitava le cose create a lodare il Dio creatore; san Francesco loda Dio stesso per le cose create (anche se l’interpretazione causale non è l’unica ammessa dagli studiosi); nella scrittura di entrambi, la terra si configura come imprescindibile elemento di congiunzione tra uomo e Dio. E la terra è madre, termine, questo, che, secondo Pokorny [2007] esisteva già nell’indoeuropeo nella forma di *mātér- e dal quale hanno avuto origine il greco μήτηρ (mèter, madre) e il latino mātĕr. In entrambe le lingue, però, l’estensione semantica è ampia e ben definita, tanto da abbracciare diverse categorie di significato, tra le quali spiccano pianta, radice, uva, madre di greggi, causa, origine. Per quanto il parlante contemporaneo sia incline a ridurre frettolosamente l’area dei significati di madre alla figura di colei che concepisce e partorisce dei figli, in realtà, basta consultare i dizionari etimologici o anche, senza fermarsi alla prima voce, un normale dizionario della lingua italiana per rendersi conto che il sostantivo in questione è molto più ricco di quanto appaia nei nostri discorsi. Per esempio, Nocentini e Parenti [2010] fanno notare che madre è anche il fondo su cui si fanno l’aceto e il vinsanto o la ricevuta che resta dopo aver staccato la figlia, mentre Cortelazzo e Zolli [1999] ne esplicitano il significato di attrezzo che porta un’impronta da stampare. A tal proposito, abbiamo ritenuto opportuno allestire una piccola raccolta di frammenti mediante la quale il lettore potesse fare un esame diretto delle modalità d’uso del sostantivo madre in contesti socio-letterari diversi e lontani dal nostro.

Io condurrotti a l’ara un candido giovenco, che la fronte aggia indorata, e della madre al pari erga la testa [CARO, A., Versione dell’Eneide, IX, 980-983, a cura di A. Pompeati, 2013, UTET, Torino, p. 173].

V’avea del Tebro in su la verde riva / finta  la  marzial  nudrice  lupa / in  un  antro  accosciata, e  i  due  gemelli, / che  da  le  poppe  di  sì  fiera  madre / lascivetti pendean, senza paura / seco scherzando [CARO, A., Versione dell’Eneide, VIII, 981-986, a cura di A. Pompeati, 2013, UTET, Torino, p. 157].

Noi Carnelvare rege di re, prencepo de la tera, no diamo saluta a tie, Quaresima topina … ka tu è inimica del mundo, matre de avaricia, sore de lagreme, figlia de indito [FABA, G., Gemma purpurea, 81b, Su la Gemma purpurea e altri scritti volgari di Guido Fava o Faba, maestro di grammatica in Bologna nella prima metà del secolo XIII, a cura di E. Monaci, 188, Tip. Accademia dei Lincei, Roma, p. 404].

Di tutto questo mese [di novembre] ne’ luoghi caldi, secchi e allegri si pognon le viti e si propagginano.  Le qua’ propaggini si vorranno ricider dalla madre da ivi a tre anni [ZANOTTI, P., Volgarizzamento del trattato di agricoltura di Rutilius Taurus Aemilianus Palladius, XII, II, 1853, G. Silvestri, Milano, p. 252].

Come si può notare, madre diventa femmina di animale, nutrice, causa e pianta. Il morfema radicale indoeuropeo da cui s’è formata questa solida struttura semantica, in linea di massima, è *mā-. La locuzione “in linea di massima” è giustificata non solo dal fatto che * rinvia più a un suono infantile che a una vera e propria radice, ma anche dall’incertezza espressa in merito da alcuni studiosi, tra i quali annoveriamo Beeks [2010], il quale mette in evidenza che il morfema d’origine conteneva sicuramente una laringale (*meh2-ter-), suono che, di fatto, non rientra tra le nostre abitudini fonetiche; la qual cosa, naturalmente, escluderebbe il legame tra l’atto del lallare, proprio del bambino durante l’apprendimento del linguaggio, e le parole ‘ben formate’ di cui ci stiamo occupando. A ogni modo, il sistema linguistico che si è appena configurato ci avvicina molto a un altro sostantivo della famiglia semantica scelta, matrimonio, il cui processo di significazione c’impone di non soffermarci troppo sul concetto di unione legale o religiosa tra uomo e donna, non perché si tratti di un’esplicitazione sbagliata, ma perché, di qua dal valore di istituto, che ormai fa parte della nostra concezione, la sua storia è strettamente legata al ruolo e, soprattutto, alla condizione della donna. Anzitutto, è bene dire che, nel latino tardo, com’è stato documentato da Du Cange [1887], il primo significato era quello di moglie.

Augustam constat hoc usam Messalinam, deinde aliorum Caesarum matrimonia hoc dentifricio usa sunt [È generalmente noto che l’imperatrice Messalina lo usava, d’allora in poi le mogli degli altri Cesari usarono questo dentifricio (MARCELLUS EMPIRICUS, De medicamentis, XIII, 5, in De medicamentis liber, a cura di G. Helmreich, 1889, Lipsia, Teubner, p. 128)].

Ciò che dobbiamo anteporre all’analisi è il fatto che l’indoeuropeo non possedeva un termine che indicasse le nozze e dal quale le lingue da esso derivate potessero trarre una forma propria. Si può, altresì, rintracciare l’idea originaria che sottostà al concetto di matrimonio e che, certo, dal mondo indoeuropeo deriva. Mātrĭmōnĭum era l’istituto che sanciva un passaggio di condizione della donna, da quello di filia a quello di mater (e non – si badi bene! – a quello di mamma), che implicava, automaticamente, l’ulteriore passaggio di stato da donna sottomessa al padre a quello di donna sottomessa al marito. Questo nuovo stato è, appunto, testimoniato, sul piano linguistico, dal suffisso -monium, in cui bisognerà vedere, come scrive riccamente Valentina Fanelli [2016], il frutto della fusione tra mon- e *jo, passato in latino a -ium, suffisso indoeuropeo che indicava, per l’appunto, ‘condizione’. In che cosa consistesse, poi, concretamente, questo passaggio alla nuova condizione di donna sposata, è intuibile: poiché la donna era ritenuta priva di capacità giuridica e civile, tanto la sua condotta quanto il suo patrimonio erano sempre sottoposte al controllo di qualcuno, ovvero il padre o un tutore, in gioventù, e il marito, una volta sposata. Una volta passata da filia a mater, tuttavia, sebbene non le fosse riconosciuta comunque alcuna libertà, ella guadagnava onore e rispettabilità in quanto reggitrice della casa, genitrice di figli e loro educatrice, insomma, custode dei buoni costumi antichi. Secondo Fanelli, appena citata, la tesi, a lungo sostenuta da parecchi studiosi, secondo la quale matrimonio è una parola composta da mater e munus è addirittura insostenibile. La sua dimostrazione è convincente.

Per quanto suggestiva dal punto di vista culturale, questa ipotesi non trova riscontri fonologici in latino dal momento che il suffisso -mōnium non è affatto collegabile a munus. In composizione la -ū- di munus non può diventare -ō-, essendo l’esito di una monottongazione arcaica che da -oi- passa a -oe- e in alcuni casi arriva fino ad -u- (vd. moinia > moenia, moenus > munus, commoine[m] > communis; vd. anche got. gaimans; oppure Poenici (prestito dal greco a dittongo oi) e punicus). Il munus non è dunque alla base del composto, che dovrà essere analizzato diversamente [FANELLI, V., 2016, Patrimonium e matrimonium: un’ipotesi interpretativa, in Latinitatis rationes Descriptive and Historical Accounts for the Latin Language, a cura di P. Poccetti, De Gruyter, Berlin-Boston, p. 497].

A queste considerazioni bisogna aggiungere che, molto probabilmente, nell’analizzare questi due elementi, mater- e -monium, dobbiamo tenere conto più dell’aspetto sociolinguistico e psicoantropologico che di quello strettamente filologico. Diversamente, possiamo affermare che l’aspetto psicoantropologico può aiutarci molto a chiarire quello filologico. Per esempio, sarebbe impossibile parlare di sviluppo analogico del termine mater rispetto a pater, poiché il pater era il dio supremo degli Indoeuropei. Questo già sarebbe sufficiente ad escludere ogni ipotesi di corrispondenza, per quanto possa risultare affascinante. Indubbiamente, dal punto di vista fonologico e fonetico, si può parlare di affinità e simmetria, in funzione delle radici *pə- e *ma- cui si aggiunge il suffisso *-ter, indicante non già i nomi d’agente, bensì quelli di parentela, come ha sapientemente dimostrato Benveniste. È doveroso e utile osservare che l’unico aggettivo indoeuropeo derivato da pater è patrius, che veniva usato in espressioni consacrate (patria potestas) e significa che appartiene al padre e, di conseguenza, ereditato dal padre, mentre non esiste un aggettivo equivalente matrius, che appartiene alla madre, ereditato dalla madre derivato, per l’appunto, da mater, il cui aggettivo di pertinenza è, invece, maternus, della stessa sostanza della madre, aggettivo che, quindi, ancora una volta, si situa su un piano di significato personale. Ciò perché, nel mondo romano, la potestas era unicamente maschile, non essendo riconosciuti alla madre alcun possesso né alcuna autorità.

Nella Roma arcaica, esisteva il matrimonium cum manu, dove il termine manus stava a indicare il potere esercitato dal marito, la patria potestas sui discendenti. In questo tipo di matrimonio, la moglie era nella posizione giuridica di figlia – in loco filiae – rispetto al marito o al suocero, a seconda che il marito fosse sui iuris, cioè legalmente autonomo, oppure alieni iuris, cioè non emancipato dal padre sul piano legale. Tra II e I sec. a.C., si diffuse una nuova forma di mātrĭmōnĭum, detto sine manu, dato che non si verificava una vera e propria acquisizione di diritto del marito sulla moglie. Si trattava, piuttosto, di un matrimonio fondato sulla volontà dei coniugi di sposarsi, ovverosia di affectio maritalis, anche se il termine affectio non ci deve condurre fuori strada: non implicava né affetto né amore, ma, più che altro, la sola volontà di essere marito e moglie, che poteva anche essere accettazione passiva, senza dissenso esplicito, delle decisioni del padre.

In quanto al matrimonio greco, era inconcepibile che una giovane potesse fare una scelta nel segno dell’amore: il suo tutore, suo padre o, in mancanza di quello, un nonno o un tutore legale, le sceglieva il marito, decidendo per lei. D’altronde, tale accesso al matrimonio era anche giustificato dal fatto che la donna ateniese, in famiglia, viveva in una condizione di totale subordinazione, che non le consentiva di avere relazioni esterne con chicchessia: ella viveva relegata nell’appartamento riservato alle donne, il gineceo, lontana persino dagli uomini di casa e dedita esclusivamente a imparare i lavori domestici, come la cucina, la filatura, la tessitura e, forse, qualche rudimento di lettura e musica. In tutto ciò, bisogna comunque tenere conto del fatto che, per l’età classica, le testimonianze letterarie si riducono solo agli aspetti giuridici dell’istituzione matrimoniale, mentre abbiamo poco o nulla che ci dia testimonianza di quali fossero realmente i rapporti tra coniugi nel privato degli interni domestici. Il matrimonio greco rispondeva a una triplice esigenza: dovere verso gli dei, ai quali bisognava fornire uomini che potessero sempre venerarli; dovere verso la pòlis, che, per esistere e mantenere la propria organizzazione, aveva bisogno di cittadini; dovere verso la propria casa, che aveva bisogno di epigoni per sopravvivere. Addirittura, a Sparta, i celibi, perseverando in questo stato civile, rischiavano di essere puniti dalla legge e, anche se ad Atene ciò non accadeva, in ogni caso l’opinione pubblica bollava il celibato come una condizione degna di biasimo. Menandro, nel IV secolo a. C., definì il matrimonio “un male desiderato”.

ὁ γάμος γὰρ ἀνθρόποισιν εὐκταῖον κακόν: ho gàmos gar anthròpoisin euktàion kakòn [Il matrimonio è per gli uomini un male desiderato (MENANDRO, Sentenze monoverso, 103, in Fragmenta comicorum graecorum, vol. IV, a cura di A. Meineke, 1841, G. Reimer, Berlino, p. 343)].

Anche se ci siamo spinti molto oltre la questione lessicografica, così da poter dare senso e valore psicolinguistico all’evoluzione di un termine, adesso, siamo consci che l’analisi di ogni altro elemento lessicale che possa essere tratto dalla discussa radice *ma- potrebbe dare la sensazione di un discorso già fatto. Se, infatti, sfogliamo un vocabolario della lingua latina a proposito di mātĕrĭa, possiamo solo limitarci a constatare che i significati sono quelli di legno, tronco, razza, nutrimento, causa, natura. In altri termini, materia non differisce affatto da madre. Ne riportiamo alcune occorrenze che ne costituiscono limpida testimonianza.

Est enim generosa materies, quae circo sacrisque certaminibus equos praebet [C’è una razza (scil. equina) più nobile, che offre cavalli per i giochi del circo e per le gare sacre (COLUMELLA, De re rustica, VI, 27, 1, a cura di R. Calzecchi Onesti e C. Carena, L’arte dell’agricoltura, 1977, Einaudi, Torino, pp. 464-465)].

Tria genera porro insitionum antiqui tradiderunt. Unum, quo resecta et fissa arbor resectos surculos accipit. Alterum, quo resecta inter librum et materiam semina admittit  […] Tertium, quo ipsas gemmas cum exiguo cortice in partem sui delibratam recipit [Gli antichi ci hanno tramandato tre generi di innesto: uno, per cui l’albero capitozzato e spaccato riceve la marza inserita; un altro per cui accoglie tra la corteccia e il legno la talea tagliata (…) La terza forma è quella per cui l’albero accoglie in un punto scortecciato del suo tronco soltanto gli occhi con poca corteccia (COLUMELLA, Ibid., V, 11, 1, pp. 398-399)].

Non è difficile rilevare che l’autore latino utilizza lo stesso termine per indicare sia la razza sia il legno, accogliendo, così, la ricchissima tradizione filosofica greca. Non svolgeremmo un corretto lavoro d’indagine etimologica, se, a questo punto, attratti dalle possibili concettualizzazioni e dagli sviluppi della prosa, spostassimo il focus sulla ὕλη (hle) dei filosofi greci, come spesso si legge in trattazioni simili. Il termine indica, sì, la materia e la legna, ma non appartiene alla stessa famiglia semantica e, naturalmente, proviene da tutt’altra radice. Insomma, non dobbiamo scrivere, pur di riempire elegantemente le pagine.

Diverso, invece, è il caso di matrice, che appartiene chiaramente allo stesso insieme e proviene dal latino mātrix. Giova ricorrere, a tal proposito, allo studio che ne ha fatto Egidio Forcellini. Secondo l’autore del Lexicon Totius Latinitatis [1761-1771], infatti, mātrix si può rendere con femmina di bestie, albero, vulva, utero, madre, origine et similia. Ciò ci riporta, ancora una volta, alla valenza funzionale di alcuni termini o, diversamente, alla loro funzione di sostrato. D’altronde, le prove sono numerose e concrete. Può non essere gradita la definizione, ma di certo non si può ignorare il fatto che madre contiene e, per certi aspetti, ‘attiva’ una serie di termini, quali sono matrimonio, matrice, matricola et similia.

Habeo tauros totidem, quot Atticus, ad matrices LXX duo, unum anniculum, alterum bimum [Ho i tori quanti ne ha Attico, due per settanta vacche, uno di un anno e uno di due anni (VARRONE, De re rustica, II, 5, 12, in Opere, a cura di A. Traglia, 1974, UTET, Torino, pp. 758-759)].

Adeo separatum est nomen a prophetia, quantum et ab ipsa persona, ut non utique de ipsa Eva dixerit, sed in illas feminas futuras, quas in matrice generis feminini nominarit [A tal punto il nome è stato separato dalla profezia, quanto anche dalla stessa persona, che non ha parlato in particolare della stessa Eva, ma contro quelle donne a venire, che ha nominato nella madre del genere umano (TERTULLIANO, De virginibus velandis, 5, trad. nostra, in Opera, pars II, Libri ad ritus et mores christianorum pertinentes, a cura di E. F. Leopold, 1839, Lipsia, Sumptibus et Typis B. Tauchnitz, p. 206)].

Se vuoi leggere le ultime pubblicazioni dell’autore, clicca sull’immagine!

Bibliografia minima

AA. VV., 2003, Diritto privato romano, a cura di A. Schiavone, Einaudi, Torino

AA. VV., 2004, Dizionario di Antichità classica, Mondadori, Milano

BATTAGLIA, S., 1961-2002, GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italiana), 21 voll., UTET, Torino

BEEKS, R., 2010, Etymological dictionary of Greek, A. Lubotsky, Leiden-Boston

BENVENISTE, E., 1969, Le vocabulaire des institutions indo-européens, trad. it. M. Liborio, 1976, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Einaudi, Torino

BURKERT, W., 1977, Griechische Religion der archaischen und klassischen Epoche, vol. VIII, 2 tomi, trad. it di P. Pavanini, I greci: età arcaica, età classica (secolo IX-IV), tomo 2, Jaca Book, Milano

CALONGHI, F., 1898, Dizionario latino-italiano, secondo la sesta e ultima edizione tedesca di C. E. Georges, Rosenberg & Sellier, Torino

CAMPANINI, G., CARBONI, G., 1995, Vocabolario Latino Italiano – Italiano Latino, Paravia, Torino

CANTARELLA, E., 2005, Matrimonio e sessualità nella Roma repubblicana: una storia romana di amore coniugale, in Storia delle donne, vol. I, Firenze University Press

CANTARELLA, E., 2007, L’amore è un dio Il sesso e la polis, Feltrinelli, Milano

CASTIGLIONI, L., MARIOTTI, S., 1966, Vocabolario della lingua latina, Loescher, Torino

CESERANI, R., DOMENICHELLI, M., FASANO, P., 2007, Dizionario dei temi letterari, UTET, Torino

CHANTRAINE, P., 1968, Dictionnaire étymologique de la langue greque, Ed. Klincksieck, Paris

CORTELAZZO, M., ZOLLI, P., 1999, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna

DE MAURO, T., 1999-2000, Grande dizionario italiano dell’uso, 6 voll., UTET, Torino

DE VAAN, M., 2008, Etymological Dictionary of Latin and the other Italian Languages, in Indoeuropean etymological Dictionary series, vol. 7, (a cura di A. Lubotsky), Brill, Leiden

DEVOTO, G., 1966, Dizionario etimologico Avviamento alla etimologia italiana, Le Monnier, Firenze

DEVOTO, G., OLI, G. C., 1971, Dizionario della Lingua Italiana, Le Monnier, Firenze

DU CANGE, 1887, Glossarium mediae et infimae latinitatis, L. Favre, Niort

ERNOUT, A., MEILLET, A., 2001, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Klincksieck, Paris

FANELLI, V., 2016, Patrimonium e matrimonium: un’ipotesi interpretativa, in Latinitatis rationes Descriptive and Historical Accounts for the Latin Language, a cura di P. Poccetti, De Gruyter, Berlin-Boston, pp. 496-513

FLACELIERE, R., 1959, La vie quotidienne en Grèce au siècle di Périclès, trad. it. di M. G. Meriggi, La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle, 2008., Mondadori, Milano

FORCELLINI, E., 1761 (1771), Totius latinitatis lexicon, Seminario, Patavii Typis Seminarii MDCCCV apud Thomam Bettinelli

GUARINO, A., 1963, Diritto privato romano, E. Jovene, Napoli

LIDDELL, H. G., SCOTT, R., 1940, A Greek-English Lexicon, a cura di Q. Cataudella, M. Manfredi, 1975 (1982), Dizionario illustrato greco-italiano, F. Di Benedetto, Le Monnier, Firenze

MEILLET, A., 2009, (edizione digitale) Aperçu d’une histoire de la langue grecque, Cambridge University press

MIGLIORINI, B., 1987, Storia della lingua italiana, Sansoni editore, Firenze

NOCENTINI, A., PARENTI, A., 2010, Vocabolario etimologico della lingua italiana, Le Monnier, Firenze

PAOLI, U. E., 2017, Vita romana. Usi, costumi, istituzioni, tradizioni, Mondadori, Torino

POKORNY, J., 2007, Proto-Indo-European Etymological Dictionary, ed. digitale a cura di Indo-European Language Revival Association, ed. Associazione Dnghu

STANO, G., 1950, Dizionario di miti, leggende, costumi greco-romani, SEI, Torino

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *